Il mistero dell'altruismo svelato
dalla sociobiologia

a cura di Maurizio Lodola
e M. Letizia Tani

La reazione di allarme BIBLIOGRAFIA

Nella quotidiana lotta per la sopravvivenza ogni creatura vivente investe le sue energie per salvaguardare se stessa, in una gara egoistica che vede gli individui contrapposti gli uni contro gli altri. Ma in un tale contesto di autoaffermazione c’è spazio per la solidarietà, per l’altruismo? Tali concetti, attinenti alle più alte sfere dell’ideazione e che sembrerebbero propri solo delle società umane, sono invece condivisi da alcune specie di animali, Invertebrati compresi. E’ proprio fra gli insetti che si riscontrano gli esempi più eclatanti di comportamento altruistico, all’interno delle complesse società delle formiche, delle vespe, delle api e delle termiti. Nei Vertebrati gli atti altruistici sono diffusi soprattutto fra i Mammiferi: noti a tutti sono i casi in cui gruppi di delfini hanno prestato aiuto ad un compagno ferito, procurandogli il cibo  o spingendolo in superficie per respirare, circondando le femmine partorienti e arrivando addirittura a soccorrere delle persone in procinto di affogare o attaccate dagli squali; come pure il più comune comportamento che si osserva in certe gatte o cagne disposte ad allattare ed adottare piccoli estranei alla loro cucciolata, persino se di specie diverse. Anche nel mondo dei Pesci si conoscono esempi di atti altruistici riguardanti vari aspetti del loro ciclo vitale, anche se essi vanno intesi in un’accezione diversa da quella culturale vigente all’interno delle società umane. E’ ovvio, infatti, che nel mondo animale i legami più vincolanti non sono come per noi di natura affettiva ed ideologica, bensì biologici, parentali: questo è ben evidente quando si osservi il comportamento di una madre con i suoi piccoli. In molte specie infatti l’attaccamento dei genitori alla propria prole è tale che essi lottano strenuamente nel tentativo di difenderla, spingendosi perfino a sacrificare la propria vita per i figli. Nella nostra ottica antropocentrica questi generosi esempi sono senz’altro da considerarsi altruistici, ma leggendoli in chiave etologica, considerando cioè la spinta motivazionale che sta alla base di ogni comportamento animale, aggiungeremo altre possibilità di interpretazione a questo particolare atteggiamento.

Per altruismo in etologia si intende ogni atto che aumenta la probabilità di sopravvivenza (o di riproduzione) dell’individuo che lo riceve, a discapito di quella di chi lo compie. Le cure parentali, per esempio, fanno parte dei moduli del comportamento altruistico: i genitori occupati in tale attività, infatti, spendono molto tempo ed energia per nutrire i piccoli e  per difenderli da eventuali predatori; anche dopo che hanno raggiunto l’indipendenza alimentare gli avannotti di certi pesci continuano ad essere protetti dai genitori che pattugliano il territorio in loro difesa. Tali attività comportano certamente dei costi per i genitori, che si espongono più facilmente ai predatori e talvolta smettono di nutrirsi, come nel caso dei pesci ad incubazione orale (Ciclidi, Anabantidi, Aridi, ecc.): gli sforzi parentali indeboliscono quindi sensibilmente i genitori, arrivando persino a comprometterne  la successiva prestazione riproduttiva e, in certi casi, la loro stessa esistenza.

Le cure parentali verso i piccoli talvolta coinvolgono, oltre ai genitori, anche degli aiutanti, generalmente dei fratelli o comunque dei parenti stretti, che spesso fanno le veci dei veri genitori occupati in altre attività piuttosto che nella crescita della prole. Un esempio di questi cosiddetti “allogenitori” è dato dai pesci pagliaccio (genere Amphiprion, Premnas), fra i quali si sono osservate coppie che si fanno aiutare nella crescita degli avannotti dai pesciolini della precedente nidiata, i quali cooperano attivamente con i genitori per difendere le uova e poi i piccoli dai predatori; questi solerti aiutanti possono anche arrivare a ritardare la loro fase riproduttiva a vantaggio di quella già in atto dei loro genitori.

Occasionale, ma non infrequente è il caso dell’adozione, che rientra anch’essa nel comportamento altruistico. Nei Pesci è stata osservata soprattutto fra i Ciclidi, dove le coppie di riproduttori accettano di buon grado accanto ai propri avannotti quelli di altre specie, accudendoli e difendendoli come la loro prole, purché questi siano di dimensioni simili a quelle dei veri figli. Nell’ambito di esperimenti di ricerca che ho condotto all’Istituto di Zoologia di Firenze su generazioni successive di Cichlasoma nigrofasciatum (varietà rosa e normale) e C. citrinellum, ho potuto verificare di persona questo particolare aspetto del comportamento parentale, la cui spiegazione sta negli specifici messaggi di comunicazione fra adulti e giovani. Quest’ultimi si fanno riconoscere dai propri genitori esibendo i cosiddetti “segnali infantili”, un insieme di caratteristiche anatomiche e comportamentali tipiche di ogni specie animale. Ma la somiglianza di certe forme infantili (visibile soprattutto nei cuccioli dei Mammiferi) ha portato alla convergenza di tali caratteri in specie diverse, i quali si sono sviluppati perché vantaggiosi per i piccoli: essere riconosciuti come figli non solo dai propri genitori ma anche da altri adulti estranei, addirittura di specie differenti, può infatti rappresentare la salvezza per i piccoli che perdano i propri genitori a causa, ad esempio, di un predatore. Al contrario, quando i segnali infantili non sono riconoscibili o sufficientemente forti, i piccoli non sono riconosciuti come tali dai genitori che li ignorano o, addirittura, li attaccano.

Gli atti altruistici non sono limitati solo all’ambito delle cure parentali, ma coinvolgono anche altri aspetti della vita di relazione, soprattutto negli animali abituati a vivere in gruppo. Le sostanze ed i segnali di allarme fanno parte di questo repertorio (vedi box): nei banchi di pesci la vigilanza contro gli attacchi dei predatori è mantenuta da alcuni individui, i così detti “allarmisti”, che, in caso di pericolo, allertano i compagni con caratteristici movimenti. Questi esempi di comportamento cooperativo, dovuti all’attività coordinata di più individui solidali, sono senz’altro forme di altruismo poiché mirano al raggiungimento di un obiettivo comune, che è la salvezza del gruppo, anche se abbassano le possibilità di sopravvivenza dei soggetti che li attuano, i quali in tal modo si espongono più degli altri all’azione predatoria. L’abnegazione ed il sacrificio di alcuni membri del banco per il bene collettivo sono il “prezzo” evolutivo da pagare per godere d’altra parte degli indiscutibili vantaggi offerti dalla vita di gruppo.

Se gli atti altruistici si verificano con regolarità fra due individui che diventano a turno promotore e poi beneficiario di tali comportamenti, scambiandosi reciprocamente il favore, si parla allora di “altruismo reciproco”. Questa forma cooperativa è ricorrente soprattutto nel periodo riproduttivo, durante il quale è gioco-forza formare un’alleanza, anche se temporanea, con il partner. In alcuni pesci ermafroditi simultanei a fecondazione esterna, come in Hypoplectrus nigricans, un Serranide dai bei colori dei mari delle Indie Occidentali, esiste un’altruistica condivisione delle uova: due individui che si incontrino al momento della riproduzione assumeranno a vicenda il ruolo di maschio e di femmina; quando l’individuo femmina emette le uova, quello maschio emette gli spermi, poi i ruoli si invertono per un periodo che può durare anche alcuni giorni, in un gioco delle parti piuttosto complicato e dispendioso. Sembrerebbe infatti molto più semplice se l’individuo femmina liberasse tutte le sue uova per farle fertilizzare dal maschio e solo dopo si invertissero i rispettivi ruoli. Perché allora si è evoluta una modalità di fecondazione tanto lunga e complessa? L’unica spiegazione possibile sta nella condivisione delle uova come strategia di collaborazione che mette entrambi i partners al riparo dall’inganno. Non collaborare con il partner infatti può essere vantaggioso solo se si ha con esso una singola occasione di incontro; in caso contrario, è meglio ricambiare la collaborazione o, a limite, interromperla se il compagno compie una defezione. In questo caso, l’alternanza dei due individui nella deposizione delle uova, più dispendiose degli spermi in termini energetici e per la cui produzione occorrono più giorni, fa sì che entrambi i partners si ripaghino equamente per il reciproco sforzo compiuto. Si spiega quindi come la selezione naturale abbia favorito la strategia di rilasciare poche uova alla volta, così che se il compagno, al momento della deposizione fallisce, il partner lo abbandona e non ne depone altre.

Qualunque forma di comportamento altruistico si consideri sembra però in contrasto con le teorie darwiniane della selezione naturale che premia il più “adatto”, visto che chi lo mette in pratica viene spesso penalizzato nelle proprie possibilità di sopravvivenza e di riproduzione a favore di quelle altrui. Come mai, dunque, l’altruismo si è affermato se non è vantaggioso per l’individuo? Lo stesso Darwin non seppe dare una risposta soddisfacente a questa domanda ragionando in termini puramente evolutivi; la risoluzione di questo enigma del mondo naturale è venuta solo di recente, negli anni 60 e 70, con l’avvento di una nuova disciplina derivata dall’etologia, la “sociobiologia”, che ha come oggetto di studio l’evoluzione del comportamento sociale. Grazie alle intuizioni di studiosi come Hamilton, Wilson e Trivers, pionieri della sociobiologia, l’evoluzione dell’altruismo è stata chiarita ponendo il problema ai margini della teoria darwiniana e non incentrandolo sulla selezione a livello dell’individuo. Quest’ultima infatti pone al comportamento altruistico e a quello sociale in genere delle condizioni restrittive in cui può agire, ma esso si è affermato nonostante la forte spinta egoistica alla sopravvivenza di ogni individuo, che comunque non può superare l’invalicabile barriera della morte. Allora il solo modo di sopravvivere sta nell’eredità genetica, nel tramandare i propri geni ai figli e perpetuare attraverso loro la specie: nascono così il concetto di fitness, termine inglese sinonimo di successo riproduttivo, e quello di “selezione di parentela”. Fra individui legati da parentele genetiche la collaborazione ed il comportamento altruistico contribuiscono a perpetuare la linea genetica comune, condivisa da genitori, figli, fratelli, sorelle ed altri parenti: in determinate condizioni ambientali la riproduzione e la crescita della prole può essere rischiosa, ecco perché conviene investire tutte le energie del gruppo familiare nei soggetti che hanno maggiori possibilità di trasmettere i geni comuni alle future generazioni. E’ grazie quindi all’altruismo di alcuni individui, che limitano o rinunciano alla propria fitness a favore di quella complessiva della specie, che la vita continua anche dopo la morte.

La reazione di allarme

Nonostante siano “muti”, in realtà i pesci sono in grado di scambiarsi un gran numero di informazioni ed il loro segreto linguaggio viene veicolato nell’acqua sotto forma di sostanze chimiche idrosolubili percepibili dagli organi olfattivi. Questi composti, detti feromoni, sono comuni sia a Vertebrati che Invertebrati ed ampiamente diffusi nel mondo animale per la comunicazione intraspecifica: secreti all’esterno insieme al muco che ricopre la cute dell’animale, sono in grado di evocare una reazione di natura comportamentale o fisiologica in altri appartenenti alla stessa specie e sono quindi da considerarsi dei messaggeri chimici del codice genetico di trasmissione tipico di ogni specie. Essi non agiscono sull’individuo che li produce, ma sui suoi conspecifici, influenzandone in qualche modo lo sviluppo, la riproduzione o il comportamento. All’interno di questo vasto gruppo di sostanze chimiche, alcune vengono liberate solo in caso di pericolo – come nel caso di un attacco da parte di un predatore – motivo per cui vengono dette “sostanze di allarme”. Di enorme importanza nel comportamento antipredatorio, questi feromoni si diffondono rapidamente fra tutti i membri di un gruppo, agendo direttamente sul loro sistema centrale, e determinando una risposta collettiva immediata e reversibile; sono, infatti, altamente volatili e, passata la minaccia, la reazione d’allarme si estingue rapidamente così come si era creata. Numerose evidenze sperimentali hanno provato quanto questo comportamento sia essenziale al mantenimento dei banchi di pesci: se si introduce in una vasca contenente pesci gregari, come i vaironi (Leuciscus souffia, Ciprinidae), un esemplare ferito, si assisterà in breve ad una reazione di fuga dell’intero banco, il quale manifesterà una viva agitazione per tutto il tempo che l’animale leso rimarrà fra gli altri, anche per alcune ore; se, invece, si introduce nella vasca un vairone morto, non si nota alcuna variazione del comportamento del banco, dal momento che tale esemplare non è più in grado di produrre i feromoni scatenanti la reazione di allarme. La stessa situazione si verifica immettendo un pesce ferito in una vasca contenente dei pesci ai quali siano stati distrutti i recettori olfattivi.

In un altro Ciprinide, il pesce zebra (Brachydanio rerio), alcuni individui, i cosiddetti “allarmisti”, sono particolarmente sensibili ai feromoni d’allarme prodotti dai loro conspecifici feriti, manifestando una tipica reazione di paura, caratterizzata da movimenti anomali e disordinati, la cui funzione è quella di allertare gli altri compagni affinché si mettano in salvo, ma, allo stesso tempo, attirano su di sé l’attenzione del predatore. Un comportamento altruistico, quindi, che si compie solo in gruppi riuniti da ragioni di tipo sociale, quali quelle che hanno determinato la coesione degli individui nel banco.

La reazione alla sostanza d’allarme è geneticamente determinata, cioè non richiede apprendimento ed è particolarmente sviluppata fin dai primi stadi di vita, forse per impedire eventuali fenomeni di cannibalismo, frequenti in natura come meccanismo di autoregolazione della specie e negli acquari dalla capacità non adeguata al numero di pesci ospitati. Non tutte le specie di pesci, tuttavia, possiedono la capacità di secernere le sostanze d’allarme: diffuse nei pesci d’acqua dolce, in particolare nei Caracidi e nei Ciprinidi, sono presenti fra i pesci marini solo nel Tribolodon sp., anch’esso un Ciprinide, che pare sia in grado di avvertirne la presenza.

BIBLIOGRAFIA

 AA. VV., 1992, “Dizionario di etologia”, Einaudi editore, Torino.

Padoa E., 1978, “Manuale di anatomia comparata dei Vertebrati”, Feltrinelli editore, Milano.

Wilson E. O., 1979, “Sociobiologia. La nuova sintesi”, Zanichelli editore, Bologna.