Le simbiosi (parte seconda)
a cura di Maurizio Lodola
e M. Letizia Tani

Una particolare forma di simbiosi diffusa nell’ambiente acquatico, sia marino che d’acqua dolce, è rappresentata dal comportamento di pulizia effettuato dai così detti pesci pulitori. Le operazioni di pulizia costituiscono una modalità di simbiosi mutualistica, in cui il pesce pulitore si ciba degli ectoparassiti, dei lembi di tessuto cutaneo ormai morti e dei residui alimentari dell’ospite che si sottopone alle sue cure.

I rapporti fra ospite e pulitore sono variabili: possono essere semplici interazioni occasionali oppure relazioni di stretta dipendenza, sempre però scandite da un preciso rituale comportamentale in cui il pulitore invita l’ospite a farsi ripulire, mentre quest’ultimo ne sollecita l’attività e collabora col pulitore. Si possono distinguere simbiosi di pulizia facoltative nel caso di pesci pulitori che si nutrano anche di altre fonti di cibo, ed obbligate, quando i pulitori si cibano esclusivamente ripulendo i corpi dei loro ospiti. Frequentemente osservabili dai subacquei, le attività di pulizia sono state ampiamente documentate e studiate soprattutto nelle acque della fascia tropicale, dove diverse specie di pesci (Labridi, Gobidi, Chetodontidi, Ciclidi, ecc.), ma anche di crostacei (come i gamberi del genere Periclimenes o i granchi Stenopus), lavorano da spazzini nei confronti di altri pesci, generalmente di dimensioni maggiori, come cernie, pesci chirurgo, murene, Carangidi, Labridi, che richiedono il loro abituale intervento; addirittura, su un’isola cubana delle Gambusie sono state osservate pulire il muso di un coccodrillo.

I Crostacei annoverano sei specie di gamberetti pulitori, di cui cinque vivono ai tropici: sono piccoli ed intensamente colorati, punteggiati di bianco con vistose bande rosse e viola e dotati di antenne eccezionalmente lunghe, con le quali attirano l’attenzione dei pesci desiderosi di pulizia. Come in Periclimenes pedersoni, specie sedentaria e solitaria, che aspetta che sia il pesce da ripulire a farsi avanti, mentre la specie temperata Hippolysmata californica si muove in gruppi gregari, composti anche da centinaia di individui, vagando alla ricerca di possibili ospiti.

Nonostante la maggior parte dei "clienti" sia rappresentata da specie carnivore e di indole decisamente predatoria, l’incolumità dei pulitori è assicurata; appare, anzi, incredibile la docilità e la pazienza mostrata dai temibili ospiti durante l’intera operazione di pulizia, eseguita con grande diligenza dai pesci e crostacei pulitori che esplorano tutti i recessi cutanei, le branchie e persino la cavità buccale dei loro clienti, liberandoli completamente da residui e da noiosi parassiti. Non si può fare a meno di stupirci però nell’osservare il minuscolo gambero indopacifico Lysmata amboinensis, il cui dorso a strisce rosse e bianche spicca a contrasto del resto del corpo giallo, muoversi con sicurezza dentro e fuori il pericoloso tunnel rappresentato dalle larghe fauci della murena leopardo (Gymnothorax flavimarginatus), sua ospite abituale.

L’opera dei pulitori è molto richiesta, tanto che intorno al luogo dove uno di essi ha stabilito la sua attività si osserva di solito un’alta concentrazione di pesci, come in una sorta di "stazione di servizio" in cui i clienti fanno la fila aspettando il loro turno. A volte dalle profondità marine arrivano interi banchi di pesci per farsi pulire, scomparendo poi nuovamente nel blu. I gamberi pulitori scelgono in genere postazioni fisse dove lavorano in successione, in modo che i pesci della zona si possono agevolmente distribuire fra di loro. Un gamberetto può arrivare a pulire fino a 300 clienti al giorno e quelli fra essi che presentano ferite o infestazioni di parassiti tornano a farsi ripulire parecchie volte in uno stesso giorno, dimostrando di aver imparato rapidamente la posizione delle stazioni di servizio.

La comunicazione interspecifica fra i partners comprende una serie di segnali evolutisi per il riconoscimento reciproco, così che pulitori appartenenti a specie diverse presentano comunque una convergenza nella colorazione e nella forma corporea, oltre che nei moduli comportamentali. Di taglia nettamente più piccola rispetto a quella dei loro clienti, i pesci pulitori sono agili e affusolati, col muso appuntito per poter ispezionare tutti i recessi del corpo dell’ospite, con specializzati denti a pinzetta ed una livrea in genere costituita da bande longitudinali scure su fondo chiaro. I pesci pulitori per eccellenza sono alcune specie di Labridi dei mari tropicali, quali Thalassoma bifasciatum, Bodianus rufus, Labroides phthirophagus, Oxyjulis californica ed altri, ma anche alcuni Gobidi, Chetodontidi e Pomacantidi si incaricano di ripulire dai parassiti numerosi pesci. Fra queste specie la più conosciuta e studiata è senz’altro una piccola specie indopacifica, Labroides dimidiatus. Questo pesciolino invita i suoi clienti a farsi pulire con l’esibizione di una "danza di pulizia", nuotando cioè intorno ad essi con particolari movenze ondulatorie e sollecitandoli a distendere le pinne con delicati colpetti del muso; si posiziona quindi parallelamente all’ospite per ispezionarne la superficie cutanea, mantenendo contemporaneamente il contatto attraverso veloci tocchi delle pinne pelviche che continuano durante tutta la pulizia, così che l’ospite sa sempre in che punto viene pulito. Con dei colpetti del muso, inoltre, il pulitore dà precise istruzioni al cliente, avvertendolo di sollevare l’opercolo branchiale, di distendere bene le pinne ed anche di aprire la bocca, dalla quale entra ed esce liberamente fino a lavoro ultimato. Da parte sua, il cliente collabora assumendo le posizioni più idonee per l’opera di pulizia, galleggiando immobile ed offrendo al Labride le parti del corpo da ripulire, con la bocca aperta che socchiude delicatamente solo quando ne ha abbastanza, in modo da avvertire il pulitore di uscire; alla fine, scuotendo il corpo, l’ospite segnala la sua intenzione di riprendere a nuotare. Alcuni pesci, talvolta, si mettono a testa in giù davanti al pesce pulitore, indicando così la loro disponibilità alla pulizia e, inoltre, cambiano la loro abituale colorazione corporea mentre vengono ripuliti, come succede per esempio al pesce chirurgo Acanthurus achilles e a Naso tepeinosoma, che diventa celeste per far spiccare meglio i parassiti sulla cute.

Studi recenti hanno dimostrato che lo stimolo-chiave che innesca i moduli comportamentali della simbiosi di pulizia è il contatto tattile che il pulitore instaura con il proprio ospite, attraverso il quale si regolano poi le successive interazioni tra i due partners (vedi box). Le lunghe antenne con le quali i gamberetti pulitori toccano continuamente i pesci loro ospiti inviano quindi segnali acquietanti, rafforzati anche da caratteristici ondeggiamenti e oscillazioni, proprio come quelli compiuti dai pesci pulitori con le loro movenze di danza ritualizzata.

Dopo il commensalismo e le simbiosi mutualistiche, la terza ed ultima categoria di interazione interspecifica è rappresentata dal parassitismo (dal greco parà = presso, e sitos = cibo), nella quale una delle specie associate trae beneficio a spese dell’altra, vivendoci insieme, al di sopra o al suo interno. Questo tipo di simbiosi antagonistica è un fenomeno molto diffuso nel mondo animale, che coinvolge individui di ogni habitat e dimensioni, uomo compreso. Le specie parassite si distinguono in endoparassite se vivono all’interno del corpo dell’ospite ed ectoparassite se si trovano sulla sua superficie. Entrambe le categorie sono caratterizzate da un’elevata specificità nella scelta dell’ospite e possono agire con modalità di tipo provvisorio (parassitismo temporaneo e periodico), come avviene ad esempio per le zecche (Ixodes ricinus) che infestano gli animali a sangue caldo solo in certi periodi, abbandonandoli poi dopo aver assunto una sufficiente quantità di sangue, o per le sanguisughe (Hirudo medicinalis) e le zanzare che si soffermano sull’ospite solo durante il pasto; oppure si ha un parassitismo di tipo obbligato quando la specie parassita trascorre l’intero ciclo vitale ospite di un’altra, come accade per i vermi intestinali (Tenie, Nematodi, Cestodi), le pulci e i pidocchi.

Gli ectoparassiti sono di solito notevolmente più numerosi dei loro ospiti, ma normalmente le infestazioni che producono sono contenute e non eccessivamente dannose, anche se in alcuni casi – in individui malati e di piccole dimensioni – possono diventare letali. Gli endoparassiti hanno sviluppato come adattamento alla vita endocellulare la produzione di un numero enorme di individui, collegato alla scarsa probabilità che hanno le uova di trovare un ospite nel quale svilupparsi.

Le diverse necessità imposte dal tipo di vita parassitaria si riflettono anche in una peculiare morfologia e fisiologia degli organismi parassiti, nei quali si assiste alla perdita di certe funzioni e conseguentemente degli organi ad esse associati, accompagnata da uno straordinario sviluppo di altre capacità: negli endoparassiti, per esempio, gli apparati fondamentali sono quello digerente e riproduttivo, mentre gli altri sono regrediti, così che le loro attività si limitano alla nutrizione ed alla produzione di uova; gli ectoparassiti, invece, hanno ridotto l’apparato locomotore a vantaggio di un maggior sviluppo dei sistemi di difesa e di ancoraggio (rostro, uncini).

Sia gli endoparassiti che gli ectoparassiti sono spesso caratterizzati da un ciclo vitale complesso e da specializzazioni più o meno spinte che riflettono la particolare strategia da essi adottata per sopravvivere. Gli organismi ospiti rispondono a loro volta con contromisure comportamentali altrettanto sofisticate, come le attività di pulizia, sia individuale che reciproca, che rappresentano un capitolo particolarmente significativo del comportamento animale, le cui implicazioni sociobiologiche costituiscono un affascinante argomento di studio per molti etologi.

In ogni caso, qualsiasi sia la modalità di parassitismo attuata, la particolare associazione che si stabilisce fra il parassita ed il suo ospite si evolve in modo da raggiungere un equilibrio, senza comportare conseguenze gravi o letali per l’organismo parassitato, poiché, in tal caso, al parassita mancherebbe l’elemento indispensabile per la sua sopravvivenza.

Né si deve pensare che tutte le forme di parassitismo siano in qualche modo lesive per l’ospite, poiché talvolta il confine tra commensalismo e parassitismo è piuttosto labile. E’ il caso, per esempio, del fenomeno noto come "foresìa", per cui alcuni animali si servono di altri come mezzo di locomozione, provvisoriamente o permanentemente, senza recare loro alcun danno: oltre all’esempio del paguro con l’attinia, nell’ambiente marino esistono certi granchi di colore blu (Planes minutus), che normalmente si lasciano trasportare sulle acque aggrappati alle fronde dei sargassi, e che spesso si vedono transitare in groppa ad un gasteropode anch’esso blu (genere Janthina) che si nutre in superficie.

Sempre tra i Crostacei si osservano diversi gradi di adattamento alla vita parassita, con forme che conducono vita libera allo stato larvale e che diventano parassiti obbligati da adulti, oltre a specie commensali, semiparassite ed un gran numero di veri e propri parassiti. Questi ultimi sono ben rappresentati dalla famiglia degli Argulidi, di cui fa parte il cosiddetto pidocchio della carpa (Argurus foliaceus), lungo fino a 12 mm, comune nelle acque dolci europee dove vive da parassita esterno su Pesci e Anfibi, ai quali si attacca con due ventose circolari. Può giungere ad infettare l’acquario attraverso il cibo vivo proveniente da acque di pesca. Anche la Lernaea è un genere di Crostacei ectoparassiti dei pesci, molto più simile ai vermi che non ai crostacei per i lunghi e sottili sacchi ovigeri; con le loro appendici chitinose si attaccano alle branchie, sulla pelle e sugli occhi sia dei pesci marini che d’acqua dolce. Mentre gli Argulidi e i Lerneidi non mostrano particolari criteri di specificità nella scelta degli ospiti, l’isopode parassita Olencira pregustator si attacca esclusivamente alla cavità orale dei Pesci Clupeidi (aringhe, sardine) che nuotano a bocca aperta per cibarsi di fitoplancton, di cui si nutre anche il parassita; questi organismi talvolta raggiungono dimensioni tali da riempire quasi interamente la bocca del pesce. Anche i Crostacei Cirripedi del genere Sacculina sono endoparassiti specifici di vari Crostacei Decapodi (S. carcini è parassita di Carcinus, S. eriphiae di Eriphia, ecc.): alquanto degradati allo stato adulto, gli individui di Sacculina altro non sono che un sacco carnoso ramificato all’interno dei granchi ospiti che, a lungo andare, risultano gravemente danneggiati dalla loro presenza.

Gli effetti patologici prodotti dall’azione parassita di questi crostacei dipendono da svariati fattori, quali il numero di individui infestanti, l’importanza degli organi attaccati, le condizioni di vita dell’ospite oltre che quelle ambientali, ecc. Anche se alcuni di essi sono ben sopportati e non producono danni apparenti, si deve tener conto che la strategia di vita dei parassiti tende gradualmente ad indebolire l’organismo ospite, rappresentando un possibile canale per la propagazione di infezioni. In natura le infestazioni di parassiti fanno parte dei cicli ricorrenti periodicamente in ogni ecosistema, costituendo talvolta un fattore ecologico di regolazione delle specie ed anche di rinnovamento. Invece il raggiungimento dell’omeostasi, cioè l’autoregolazione, in un ecosistema chiuso – come l’acquario o le serre di acquacoltura – è molto più difficile: in tali situazioni, soprattutto in condizioni di sovraffollamento, si possono verificare delle esplosioni di forme parassite, con gravi danni per le comunità di pesci, nelle quali causano talvolta una massiccia mortalità. La vasche di stabulazione e di quarantena rappresentano uno strumento indispensabile nel controllo delle parassitosi e delle infezioni in genere: le drammatiche condizioni in cui spesso arrivano i pesci importati e la loro alta mortalità (soprattutto negli acquari di chi li ha incautamente acquistati) impongono una seria riflessione a tutti gli acquariofili e non solo ai commercianti.

Il luogo comune "sano come un pesce" non è quindi veritiero, data la molteplicità dei problemi e delle patologie di cui i pesci possono essere affetti, quelli d’acquario in particolar modo. Nel lungo elenco di infezioni, quelle ascrivibili ai parassiti sono numerose e frequenti quanto gli agenti stessi che le causano e non possiamo certo soffermarci qui nella loro trattazione che richiederebbe ben altri spazi e competenze, rimandando agli ottimi testi sull’argomento esistenti in commercio. Concludiamo, quindi, con la raccomandazione, banale ma pur sempre valida, di mantenere sani i nostri pesci, che solo così potranno vivere soddisfacentemente in cattività fino a riprodursi con successo, lo stesso successo che d’altra parte merita ogni acquariofilo rispettoso conoscitore delle esigenze della natura.

 

 


La fiducia è una cosa seria…

La comunicazione fra ospite e pulitore si basa su precisi moduli comportamentali che si sono evoluti per garantire la reciproca fiducia fra i due partners e consentire ad entrambi di usufruire dei vantaggi derivanti da questa associazione. Da una parte, quindi, il pulitore si farà riconoscere come tale con la sua danza e, dall’altra, il cliente dimostrerà la sua intenzione a farsi ripulire da lui. La concorrenza però, anche nel mondo animale, è sempre in agguato e, in questo caso, prende le vesti di un piccolo Blennide, l’Aspidontus taeniatus, detto anche blennio dai denti a sciabola, la cui livrea è molto simile a quella del Labroides dimidiatus. In questo tipico esempio di mimetismo aggressivo, il falso pulitore non solo assume le sembianze di quello vero, ma ne imita perfettamente anche la danza di pulizia, così che si può avvicinare indisturbato agli incauti clienti in fila per la toilette e strappare loro velocemente pezzetti di pelle e lembi di pinne di cui si ciba. Il tentativo di occupare il posto di pulitore è ben riuscito anche a Elacatinus oceanops che imita il pulitore Thalassoma bifasciatum, come pure fa un altro blennide sosia, l’Hemiemblemaria simulus: quest’ultimo si limita però a nutrirsi dei parassiti, senza danneggiare in alcun modo l’ospite che divide tranquillamente col labride pulitore.

La presenza di mimi dei pesci pulitori fa supporre che la loro nicchia ecologica non si sia ancora completamente specializzata, così che parecchie specie stanno facendosi concorrenza nel tentativo di occupare in esclusiva questo ambìto posto. A suffragio di questa ipotesi esistono numerose osservazioni fatte nei mari di tutto il mondo, dalle quali sono emersi elementi di diversità nell’ambito delle simbiosi di pulizia, soprattutto nelle modalità con cui i vari pesci pulitori si sono specializzati in questo "mestiere": nelle calde acque indopacifiche l’attività viene svolta principalmente dai pesci del genere Labroides, mentre nell’Atlantico tropicale è praticata da molteplici specie diverse.

Le caratteristiche di reciproca lealtà sviluppate dai due partners che si associano nella simbiosi di pulizia hanno indotto alcuni etologi ad interpretare questo comportamento come un esempio di altruismo reciproco. Soprattutto l’atteggiamento dell’ospite è stato inizialmente ritenuto altruistico, dato che spesso esso è rappresentato da una specie predatrice. Ma a ben vedere, il rinunciare all’immediato beneficio derivante dall’ingoiare il pesce pulitore, consente all’ospite di continuare ad usufruire indefinitamente del servizio di pulizia, arrivando anche a sviluppare una sorta di fedeltà reciproca, tanto che sono stati osservati ospiti abituati a farsi ripulire sempre dagli gli stessi pulitori. In certi casi, addirittura, l’ospite che avverte un pericolo, prima di fuggire, lo segnala al pulitore impegnato dentro la sua bocca.

Tali evidenze ed altre ancora più approfondite, hanno portato a rivedere criticamente l’iniziale interpretazione del modello altruistico per questo tipo di simbiosi. C’è da considerare infatti che non tutti i clienti dei pulitori sono specie carnivore e predatrici e che i pulitori stessi adottano diverse strategie comportamentali a seconda dell’ospite con cui hanno a che fare: il pulitore Labroides phthirophagus, per esempio, al cospetto di un cliente predatore evita di ripulirgli la regione orale. Inoltre, la maggior parte dei pulitori non costituiscono prede appetibili, sia per la piccola taglia che per la carne dal sapore sgradevole, anche se alcune specie sono state ritrovate nello stomaco dei loro ospiti. Nel caso dei gamberetti, la loro vistosa colorazione e l’esiguità della taglia non lasciano spazio alla confusione con altre prede e per questo di solito godono di completa protezione, con l’eccezione delle specie temperate che talvolta vengono predate durante la loro attività. Tuttavia, in generale, sembra che le stazioni di pulizia siano considerate un po’ da tutti i pesci come un terreno neutrale, dove specie diverse e spesso antagoniste si comportano in maniera amichevole, adottando per l’occasione un comportamento incompatibile in luoghi diversi e in altri momenti.

Al riconoscimento ed al rispetto per l’incolumità dei pulitori concorrono importanti segnali intraspecifici, fra cui quello più immediato è la vistosa colorazione a bande longitudinali, visibile in questi Labridi anche a distanza. A questo proposito è interessante notare che in questi pesci il sesso non è determinato sin dalla nascita: infatti i giovani sono tutti femmine e solo da adulti diventano maschi. L’inversione sessuale, che è accompagnata da un sensibile cambiamento anche nella livrea, non è invece segnalata con una diversa colorazione nei labridi pulitori, i quali mantengono per tutta la vita gli stessi segnali visivi di riconoscimento per i pesci ospiti. E’ probabile quindi che, nell’ipotetico bilancio fra i vantaggi acquisiti per farsi riconoscere da individui di sesso opposto ed il rischio di non essere più identificabili dai pesci ospiti, i labridi pulitori abbiano optato per la prima soluzione, più idonea al mantenimento del rapporto simbiotico per loro così vantaggioso.

L’importanza della simbiosi di pulizia e del ruolo dei pesci pulitori nel mantenimento dell’ecosistema è stato dimostrato da un esperimento condotto negli anni ’60 dall’etologo C. Limbaugh in un tratto di barriera corallina delle isole Bahamas. Rimuovendo da quella zona tutti i pulitori, si vide che la maggior parte delle specie che abitualmente frequentavano quell’area ben presto cominciarono ad abbandonarla e, nel giro di due settimane, molte delle specie rimaste presentavano evidenti segni di infestazioni da ectoparassiti. In seguito al reinserimento dei pulitori in quelle acque, anche gli altri pesci ritornarono a popolare la scogliera. Studi successivi hanno precisato che allo sviluppo dei parassiti cutanei concorrono numerosi altri fattori, oltre che la rarefazione dei pesci pulitori, i quali, anche se non strettamente determinanti nel controllare tali infestazioni, svolgono comunque un innegabile funzione vitale all’interno delle comunità di pesci.

 

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